Intrighi e biscotti che hanno fatto il Risorgimento nei caruggi
La storia di Genova si stratifica e muta in diverse sfumature tanti sono gli eventi in cui la città è stata protagonista. La presenza del porto che per secoli fu il principale punto di partenza per milioni di persone ha dato alla città una centralità strategica rara, che si è combinata con vere e proprie epopee (le crociate, piuttosto che le migrazioni di fine ‘800) o con articolate e spregiudicate operazioni di carattere militare.
Una di queste è “la spedizione dei mille”, fatto militare di rilevante importanza per quello che viene indicato come il Risorgimento italiano, di sicuro uno degli episodi che maggiormente sono penetrati nel vissuto italiano e genovese degli ultimi due secoli.
Giuseppe Garibaldi,
l’eroe dei due mondi, è una delle poche figure militari italiane capaci di stare all’altezza con i grandi generali di quelle epoche. Coraggioso, virile, esperto marinaio e stratega raffinato è una figura che ha entusiasmato i cuori di migliaia di persone, in Italia non esiste paese o città che non abbia una via, una piazza o un monumento dedicato a Giuseppe Garibaldi.
Il nizzardo, nei mesi che prepararono la spedizione, fu amareggiato e contrariato dalla cinica decisione di Cavour, dopo la fine della seconda guerra d’indipendenza, di cedere Nizza, casa sua, e Savoia alla Francia. L’ira di Garibaldi nei confronti dello statista dei Savoia era seconda solo al rancore provato da Giuseppe Mazzini verso il conte che lo aveva perseguitato, condannato e rinchiuso in molte prigioni del regno.
Tre personaggi centrali nella storia italiana che ebbero, per ragioni diverse, Genova come luogo d’iniziazione umana e politica. Mazzini e Garibaldi erano amici, i due, molto diversi per carattere e stile, avevano l’uno per l’altro una simpatia reciproca, quando si incontravano parlavano in strettissimo genovese, e furono loro innanzitutto a mettere le basi della spedizione insieme ai loro comuni e preziosi amici: gli inglesi. Il conte Cavour, una delle migliori intelligenze della politica italiana di sempre, nonostante la durezza dello scontro con i due, seppe trarre il massimo vantaggio dalle loro azioni, benchè gli obiettivi dei due patrioti fossero lontani da quelli del nascente regno d’Italia.
Raffigurati spesso in tormentate pose di riflessione i tre erano, invece, brillanti e affabili, amanti della bella vita, delle belle donne e dei buon cibo. Giuseppe Mazzini era nato a Genova e qui aveva vissuto la sua formazione intellettuale con la maturazione di principi politici e umanitari che superavano le rigide forme politiche della restaurazione.
Da via Lomellini dove abitava, le mosse di Mazzini andavano verso i numerosi caffè del centro, dove gruppi di carbonari cospiravano contro la monarchia. Al Leon Rouges in via Aurea, (oggi proprio via Garibaldi), il genovese mette le basi della sua Giovine italia, imbevuto, oltre che degli ideali di libertà e giustizia, anche di profonde letture massoniche. Mazzini si rifaceva ai Rosacroce ed entrò in contatto con la massoneria inglese. Credeva nella reincarnazione, nell’esistenza degli spiriti invisibili.
“Fantasio”, questo il nome di battaglia, ma anche “Pippo”, come lo chiamava la madre, suonava benissimo la chitarra, cantava benissimo e amava i poeti e gli scrittori romantici. Inventò la torta che oggi prende il suo nome e che è possibile assaggiare nella zona di Fossatello presso la Liquoreria Marescotti.
Giuseppe Garibaldi, genovese d’adozione, amante focoso e spirito battagliero, quando non era alla testa di qualche esercito lo potevate trovare nelle antiche vie di Genova alla ricerca di un minestrone o di un piatto di trippe.
Andava pazzo per i biscotti del “lagaccio” e non mancò di portarsene una buona scorta nella famosa spedizione. Per Cavour la storia fu un po’ diversa. Giovane sott’ufficiale nella Genova fresca del dominio dei Savoia, nel 1830 di stanza nella caserma di Porta d’Archi, incontra Anna Giustiniani, patriota, illuminata e bellissima. Sposata, però.
Tra i due scocca la scintilla di una passione potente che li accompagnerà attraverso tribolate vicende, sino al suicidio della donna nel 1841 proprio per l’impossibilità del rapporto tra i due.
La mattina del 5 maggio, Garibaldi porta con sé, un pacco di biscotti del Lagaccio, caffè e stoccafisso; con lui ci sono 1162 uomini, diversi liguri, molti lombardi soprattutto bergamaschi.
I genovesi sono raccolti in un gruppo di tiratori scelti, i “carabinieri genovesi”. Oggi li chiameremmo “snipers” un tempo erano i “cecchini”. Usavano fucili di precisione di loro proprietà nonostante la vulgata racconti che i garibaldini partirono senza fucili e dovettero fermarsi a Talamone per fare la scorta di munizioni, armi e tre cannoni. I garibaldini furono assistiti, non solo dalle capacità del loro comandante, ma anche dalla protezione degli inglesi molto attenti agli sviluppi della spedizione. L’unificazione della penisola sotto il dominio dei loro alleati sabaudi avrebbe voluto dire l’innesco di una serie di opere pubbliche come le reti ferroviarie che avrebbero arricchito le casse dei Rotschild e alzato l’influenza britannica in buona parte della penisola. Tra i garibaldini ci sono tutti i ceti sociali a parte i contadini, considerati da Garibaldi non avvezzi a pratiche rivoluzionarie. Molti di loro hanno già esperienze belliche alle spalle tra i “cacciatori delle Alpi” o nell’esercito del Regno di Sardegna.
Nel frattempo, Mazzini a Londra fa amicizia con George Sand, e tra loro non si discute solo dei Rosacroce e di rivoluzione.
Una sola donna tra le camice rosse, uniformi da macellaio e messe a punto dalle sartine di Santa Zita. Si Chiama Rosalia Montmasson ed è la moglie di Crispi (si presenta alla partenza in abiti machili). Il più vecchio è un genovese, Tommaso Parodi, ha 70 anni e il più giovane un chiozzotto, Giuseppe Marchetti, che ne ha 11. Alcuni di loro, ferventi mazziniani, una volta colto che l’operazione andava a declinarsi in una strategia a favore dei Savoia, lasciarono la spedizione. Dopo Calatafimi e Palermo, i garibaldini erano più di 20.000 e a loro si unirono molti “briganti” anti borbonici sperando che O’ Garibaldo possa portare giustizia e liberare i latifondi dalle antiche servitù medievali, oppure più semplicemente per predare con una legittimazione più fresca.
Con la l’occupazione di Napoli i garibaldini sono più di 40.000. Molti di loro non hanno sparato neanche un colpo di fucile. Con la svolta di Teano, il generale si ritira a Caprera con i suoi Lagaccio, stoccafisso e diversi sacchi da caffè. L’isola sarà per anni un richiamo per i fedelissimi dell’eroe dei due mondi mentre lui condurrà una vita spartana, ai limiti quasi dell’ascetismo. Per molti garibaldini l fine della spedizione fu ingloriosa. Liquidato il corpo di spedizione, furono disarmati e risalirono la penisola non senza fatica. Trovarono ancora una volta a Genova soccorso e accoglienza, tra i camalli e i carbunin, mettendo linfa nel movimento operaio e socialista che si sarebbe formato negli anni a venire.