Bruno Lauzi, uno dei fondatori della scuola dei cantautori genovesi, era nato all’Asmara l’8 agosto1937, da bambino con la sua famiglia si trasferì a Genova. Da adolescente venne iscritto alla scuola ginnasiale “Andrea Doria”, il suo compagno di banco era un ragazzo introverso e taciturno, si chiamava Luigi Tenco. Entrambi avevano la passione per il cinema e la musica jazz: a Luigi piaceva il clarinetto, in seguito passò al sax, mentre Bruno si dilettava con il banjo o la batteria e dopo con la chitarra.
I due ragazzi, nel 1953, formarono il loro primo complesso che chiamarono: “Jelly Roll Morton Boys Jazz Band”. Conobbero Gianfranco Reverberi e Giorgio Calabrese e sotto la loro guida iniziarono a scrivere canzoni. Intanto gli anni passavano e ai due si aggiunsero altri amici: il musicista Danilo Degipo, Paolo Villaggio, Bindi, Paoli e De Andrè.
Con il 1960 i componenti dell’allegra brigata iniziarono a esplorare sentieri musicali diversi. Nel 1961 solo due del gruppo erano già famosi mentre De Andrè incideva il suo primo disco: Umberto Bindi e Gino Paoli. Lauzi iniziò a fare la spola tra Genova e Milano, là iniziò a frequentare e conoscere l’ambiente artistico meneghino: da I Gufi ad Enzo Jannacci, Gaber, Mina e a lavorare al mitico “Derby” con Cochi e Renato, Felice Andreasi e Lino Toffolo.
Nel 1962 per la prima volta entrò in una sala d’incisione milanese, con lo pseudonimo di Miguel e i Caravana registrò, in genovese, “O’ frigideiro”. Dal secondo 45 giri iniziò a farsi chiamare col suo vero nome mentre l’attività artistica cominciava a riempirgli la vita con grandi soddisfazioni.
Nel 1967, mentre era in tournèe con Mina in Argentina, uscì una loro fotografia in tenero e amichevole atteggiamento ma che la stampa Sudamericana inserì in una presunta “love story”. In quei giorni Lauzi era sui rotocalchi di mezzo mondo e così, come fu per Paoli nel 1961 (“Il cielo in una stanza”) e come sarà l’anno successivo per De Andrè (“Canzone di Marinella”), ancora oggi è evidente l’importanza che Mina ebbe per la carriera dei cantautori genovesi.
Alla fine degli anni Sessanta Bruno Lauzi si trasferì a Roma e divenne amico di Antonello Venditti e Lucio Battisti che gli propose di entrare nella sua casa discografica, la “Numero Uno”: una proficua collaborazione col duo Battisti-Mogol che Bruno suggellò portando al successo, come interprete, brani storici quali “E penso a te”, “L’aquila”, “Amore caro, amore bello” e vincendo vari premi della critica discografica con canzoni cantate da lui, scritte o tradotte per altri quali “Lo straniero” (George Moustaki), “Quanto t’amo” (Johnny Hallyday), “L’appuntamento” (Ornella Vanoni), “Piccolo uomo” (Mia Martini) e incontrando artisti internazionali come Vinicius De Moraes , Toquinho, Petula Clark, Dionne Warwick, Serge Reggiani.
Alla metà degli anni ‘70 prese a scrivere canzoni per bambini (“La tartaruga”), collaborò con vari artisti promuovendo “sconosciuti” come Edoardo Bennato, Roberto Vecchioni, i Gatti di Vicolo Miracoli, i fratelli La Bionda e fu il primo tra i colleghi ad ospitare in una trasmissione Tv Claudio Baglioni e, forse l’unico, oltre a Mina, ad avere avuto Battisti in un suo “speciale” televisivo.
Sempre in quel periodo nacque una sincera amicizia con il suo avvocato di allora, un certo Paolo Conte, che gli fece ascoltare su un vecchio mangianastri un brano (“Onda su onda”) di cui subito Bruno s’innamorò, lo incise e si trovò in classifica. Poi fu la volta di canzoni come “Genova per noi” e “Bartali” tanto che lo stesso Conte ebbe a definirlo “grande ambasciatore della mia musica”. Lauzi incise “Angeli” con Lucio Dalla, “Naviganti” con Ivano Fossati e “Maria dei parafulmini” con Ron.
Nel 1989 vinse il “Premio della Critica” al Festival di Sanremo per “Almeno tu nell’universo” canzone scritta con Maurizio Fabrizio. Un triste giorno gli venne diagnosticato di essere malato del morbo di Parkinson, la sua vita subì un’improvvisa accelerazione: moltiplicò le iniziative in tutte le direzioni, sapeva di non avere ancora molto tempo a disposizione. Infine decise di scrivere una lettera alla sua malattia: il Signor Parkinson, la missiva venne pubblicata da tutti i giornali italiani dando anche ampio risalto all’impegno civile del cantautore. A lui sono dedicate alcune pagine nel libro “Fabrizio De Andrè e la Genova d’Appennino” (Edizioni Joker), disponibile nelle edicole della Valle. Lauzi, a causa della terribile malattia che lo colpì, si spense a Peschiera Borromeo (Milano), il 24 ottobre 2006.
Hanno detto di lui:
Il Presidente della Repubblica Napolitano: “Un grande interprete della terra ligure, mancherà alla musica e alla cultura del nostro Paese.
Ivano Fossati: “Lo voglio ricordare come un autentico anticonformista”.
Fausto Bertinotti: “Con sincera commozione ho appreso la notizia della scomparsa di Bruno Lauzi, artista colto e di grande umanità. La scena culturale italiana perde con lui una voce sensibile e mai banale”.
Antonello Venditti: “Valeva proprio la pena di averlo conosciuto, uno capace di essere così coraggioso”.
Lauzi faceva spesso dell’ironia sulla sua malattia, ecco alcune sue battute:
– Mia suocera il Parkinson lo chiama Pakistan. Un giorno mi ha chiesto: “Come va con il Pakistan?” le ho risposto: “Eh, siamo in guerra”.
– Un’intervista sul mio morbo? Volentieri, ma guardi che le foto verranno un po’ mosse.
– Quando mi chiedono della mia malattia la butto sul ridere. “E adesso?” mi ha chiesto una signora, ed io: “E adesso uova strapazzate”.
– Un giornalista mi ha chiesto cos’è cambiato nella mia vita dopo il morbo. Io gli ho detto: “Non suono più la chitarra, adesso suono le maracas”.
– C’era un signore che aveva la mia stessa malattia e quando si bloccava all’improvviso perché non riusciva a muovere un muscolo, invitava i suoi nipotini a giocare con lui agli indiani. Lui faceva sempre la parte del Totem.
– Programmi? Diventare un bel vecchio. Nei prossimi vent’anni, dai 63 attuali agli 83, conto di giocarmi il tutto per tutto al motto di: adesso o mai più!
Così ha risposto in una delle ultime interviste:
Com’è nata la passione per la musica?
“Non avevo nessuno in famiglia che cantava o suonava. I miei genitori avevano un buon gusto in fatto di musica. La passione per la musica è nata per la voglia di farla. Pensa che i miei genitori volevano che prendessi una laurea e facessi il giornalista”.
Cosa hanno scritto di cattivo su di te?
“Che sono troppo polemico. La polemica fa parte della vita e quando ci vuole ci vuole”.
E’ vero che dici di essere un poeta-fungaiolo?
“Sì, fungaiolo, è il mio hobby preferito andare per funghi. Ora ho smesso per via della mia malattia. Per me era uno dei piaceri della vita andare nei boschi a cercarli”.
Come convivi con il morbo di Parkinson?
“Convivo come uno che vive in guerra e la fa, cerco di tirare su il morale a chi è nelle mie stesse condizioni.”
Quali erano i tuoi idoli da ragazzo?
“I grandi della musica americana: Sinatra, Crosby, Nat King Cole, Cole Porter, Gershwin”.
Il complimento più bello che hai ricevuto?
“L’ho ricevuto da Ivano Fossati. Sentendo la propria canzone “Naviganti” cantata da me, mentre tornava a Genova, mi ha telefonato e mi ha detto: adesso che ho sentito la mia canzone cantata da te ho capito cosa ho scritto.”
Che rapporto hai con la Fede?
“Direi molto buono con la Fede in Dio, non in una religione”.
Un domani come vorresti essere ricordato?
“Come uno che non ha mai lasciato nulla di intentato”.
La prima volta che ricordo di aver visto Genova non so nemmeno cosa mi colpì, ma certo, questo lo ricordo bene, percepii qualcosa nell’atmosfera, nelle persone e nei vicoli stretti di quella città”. Per noi della Genova d’Appennino: “Genova per noi, che stiamo in fondo alla campagna, abbiamo il sole in piazza rare volte… il resto è pioggia che ci bagna. (Lauzi)