Piatti genovesi mappa fantastica di quelli “scomparsi” o quasi
Una mappa fantastica di piatti genovesi più o meno sconosciuti sarebbe forse piaciuta anche a Umberto Eco. La storia millenaria di Genova la si può raccontare ma anche solo fantasticare nella ricerca approfondita di piatti ormai rari sulle nostre tavole e su quelle dei ristoranti. Come direbbe un semiologo sono segni di un vissuto e di un “linguaggio” antico fatto di fatica e velocità, ingegno e gusto. Antiche ricette che più dei libri di storia ci dicono chi siamo e da dove veniamo.
L’approccio umorale e scontroso degli abitanti, vicoli stretti e antichi, locali senza insegna. Eppure ne vale la pena. Se poi volete fare una conoscenza un po’ più approfondita, dovete sedervi a un tavolo per avere modo di conoscere profumi e sapori e addentrarvi nelle atmosfere più recondite della città.
Anche qui i problemi non mancano: ai piatti genovesi universalmente più noti si accostano nel migliore dei casi altre proposte dai nomi misteriosi. L’avveduto avventore prenderà nota dei seguenti consigli per avventurarsi in un viaggio esotico e misterioso nella cucina ligure di cui nessuno vi ha mai detto niente.
Le acciughe in “scabeccio”
le cucina ancora qualcuno e se vedete il piatto proposto nel menù ordinatelo perché è una ghiottoneria. Lo “scabeccio” è un’antica arte di conservazione basata sulla frittura e la marinatura a caldo con cipolla, olio e aceto. Un tempo era estesa a molti altri prodotti oltre che al pesce e trattiene con sé i sapori delle antiche vie del sale, quando proprio le acciughe venivano portate oltre appennino per essere vendute nei ricchi mercati della pianura. Accompagnate da un vino bianco fresco possono essere un veloce piatto unico o anche un buon antipasto.
Il Prebuggiun
Vi può capitare d’incontrare anche il Prebuggiun. È un termine genovese che letteralmente può significare “pre – bollito”, ma tradotto così perde tutta la sua poesia, uno dei piatti genovesi tra i più amati dai nostri nonni. Dovete dirlo o sentirlo dire dalla cuoca e avrete modo di percepire realmente il borbottio della pentola che bolle. In realtà poi, nella labirintica lingua genovese significa ancora un’altra cosa: mescolanza. Nel caso, un misto di erbe selvatiche tra cui le più note sono bietola, borragine, cicoria, radicchio e raperonzolo insieme ad altre a seconda dei diversi territori. I diversi tipi di erba vengono lavati e bolliti per essere consumati o come piatto di verdure, magari insaporito con dell’aglio, oppure come base e condimento per altri piatti.
Il Fegato all’aggiadda è un’antica ricetta genovese, semplice povera, ma dal grande valore nutritivo. Il fegato tagliato a listarelle viene messo a cuocere per breve tempo con un’amalgama di mollica di pane, aceto, olio e aglio. Va mangiato caldissimo e se la cuoca ha ecceduto con l’aglio il sapore sarà certamente squisito anche se magari ne soffrirà un po’ il vostro alito.
Le focaccette di Crevari
sono un vero e proprio mito! Per assaggiare questa squisita specialità dovete affidarvi a uno sherpa molto esperto nell’immediato entroterra genovese. Crevari, infatti, è un piccolo borgo dietro il capoluogo e la produzione della focaccetta avviene solo rare volte all’anno in occasione di feste o sagre. L’impasto della focaccetta (farina, patate, olio, lievito, sale e latte) viene immerso per pochi istanti nell’olio bollente per essere fritto, quindi estratto e riempito con gli ingredienti dolce o salato (nutella oppure stracchino o pesto) e servito all’istante. Assaporata con un bicchiere di rosso è una delizia. Controindicazioni: date le rare volte in cui viene prodotta, la baracchetta delle focaccette è sempre oggetto di un assalto da parte di famelici clienti. Organizzatevi perché la coda è sempre lunga.
La Buridda
fa parte della famiglia delle zuppe di pesce a cui appartengono molti piatti tra cui il Caciucco livornese. Il termine a Genova ha assunto anche un significato “laterale” indicando un avvenimento concitato e confuso. Questa zuppa è un misto di pesce (stoccafisso, palombo, grongo, murena etc.) cucinato in umido con olio di oliva, funghi, pinoli, capperi, prezzemolo e altri aromi. Si possono avere anche versioni monografiche o con le seppie o con lo stoccafisso.
Il Brandacujun
nonostante il nome minaccioso, è un piatto delicato a base di stoccafisso e patate che vengono lessati e quindi insaporiti con aglio, prezzemolo e olio di oliva. Il termine “branda” deriva da “brandare” ovvero scuotere con energia in modo tale che avvenga l’amalgama dei diversi elementi senza che però diventino poltiglia.
Il termine “cujun” è probabilmente relativo al componente della famiglia che meno dotato di quoziente intellettivo e di raffinate capacità culinarie aveva il compito di “brandare” cioè di scuotere la pentola non sapendo fare altro. Altra versione è quella di origine marinara e che la pentola “brandata” dalle scosse del mare produceva il piatto da sé se i marinai la tenevano stretta fra le gambe. È assai frequente nelle trattorie genovesi sia per la bontà che per la semplicità di esecuzione.
La sbira
invece, è uno dei piatti genovesi più antichi e ormai quasi introvabile, quindi se vi capita, ordinatelo subito. Risale al medioevo e prende il suo nome dal fatto di essere il piatto preferito delle guardie. Si tratta del brodo di trippa, un piatto nutriente che va assaporato con formaggio grattuggiato e pezzi di pane abbrustolito. Può capitare di assaggiarlo nelle ormai rare tripperie genovesi se vi capita di incrociarne una oppure più facilmente in qualche remota trattoria dell’entroterra. Se qualcuno avrà da obiettare sui vostri gusti ricordate che era il piatto preferito di Giuseppe Verdi.
Se nel menù di un ristorante o più facilmente di una trattoria, trovate il Berodo con cipolla, ordinatelo senza paura. Raro, ormai introvabile ma per questa ragione da cogliere al volo. Il berodo è un piatto antichissimo e un vero e proprio sapore elementare. Si tratta di un insaccato di sangue fresco e latte non scremato con l’aggiunta di pinoli, uvetta, sale, pepe e dadini di lardo che venivano collocati in un budello fatto con l’intestino del maiale. Si tratta di un piatto tipico della Vapolcevera che sarebbe stato assimilato addirittura all’epoca dei romani. Il piatto con le cipolle è molto semplice. Realizzato il soffritto di cipolla e lasciato a indorare si aggiungono le fette di berodo che sono cotte per dieci minuti. Per chi non l’avesse capito non è un piatto estivo.
Nella famiglia degli “ibridi”, anche se molto spesso associato al dolce troviamo il Latte fritto. Per chi conosce Genova sa benissimo che questo è il boccone che si lascia per ultimo nel regale “fritto misto” che si può assaporare addentrandosi verso le trattorie che si trovano sulle alture. Essendo dolce viene anche servito separatamente dopo il fritto salato. È una ricetta complessa composta da latte, farina, uova e zucchero, e buccia di limone. Dopo aver ottenuto la consistenza desiderata, la mistura va tagliata a rombi da friggere per ottenere un prodotto ineguagliabile nel suo genere.
Per finire non si può che citare un “ammazza caffè”, l’Amaro Camatti: È un prodotto con una storia gloriosa tipicamente ligure apprezzato anche da Gabriele D’annunzio. Lo potete trovare ancora nelle antiche e gloriose trattorie di una volta che resistono e lo espongono orgogliosamente. Ha un gradevole sapore di genziana con un retrogusto di amaretto ed è l’ideale e per chiudere un pasto.
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Ottimi piatti, la Buridda l’avevo assaggiata da Maria, buono anche il Camatti.
Gli altri piatti, Brandacujun a parte, che ho mangiato in diversi posti, non saprei dove trovarli.
Trattoria da Maria al Carmine ? Un ricordo indelebile, un’atmosfera mitica, come i suoi avventori.
mi manderesti le ricette?
A Noli, alla Lampara e l’acciuga, arrivando da Zena a dx alle prime strisce pedonali. Il proprietario dice di essere ghiotto di brodo quindi sbira, l’attuale pinne, ciupin, buridda, e…